Schifano Mario
Mario Schifano, una delle figure più emblematiche e controverse dell’arte italiana del XX secolo, nacque il 20 settembre 1934 a Homs, in Libia, dove suo padre, Giuseppe Schifano, lavorava come archeologo restauratore impegnato negli scavi di Leptis Magna. A causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la famiglia fu costretta nel 1941 a tornare in Italia, stabilendosi a Roma. La loro vita nella capitale non fu facile: vissero prima nel campo profughi di Cinecittà e successivamente nella caserma Lamarmora di Trastevere. Queste esperienze difficili segnarono profondamente Schifano e influenzarono il suo percorso artistico.
Dopo la guerra, Mario riprese a frequentare la scuola, ma la rigida disciplina scolastica gli risultava insopportabile, portandolo a lasciare gli studi alla fine della seconda media. Si trovò a fare il garzone in una bottega di Trastevere, ma nel 1951, grazie all’intercessione del padre, ottenne un lavoro come restauratore di terrecotte presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Questo impiego, unito alla sua crescente passione per il disegno e la pittura, gli permise di avvicinarsi al mondo dell’arte in modo più consapevole, anche se rimase perlopiù un autodidatta.
Nel 1954, Schifano partecipò alla sua prima esposizione, sebbene le tracce documentali di questo evento siano scarse. Tra il 1956 e il 1957 sospese l’attività museale per svolgere il servizio militare, ma al suo ritorno decise di dedicarsi con maggiore impegno alla pittura. Gli anni successivi furono cruciali: nel 1958 partecipò a diverse esposizioni collettive, tra cui una alla galleria Appia Antica e un’altra organizzata dal Partito Comunista a Cinecittà. Nel 1959 tenne una seconda collettiva, questa volta in compagnia di artisti emergenti come Renato Mambor e Cesare Tacchi, e a maggio dello stesso anno inaugurò la sua prima mostra personale sempre alla galleria Appia Antica, presentata dal critico Emilio Villa. Fu l’inizio di una carriera che avrebbe cambiato il volto dell’arte contemporanea in Italia.
Nel 1960, Schifano iniziò un ciclo di opere monocrome, caratterizzate da lettere e numeri stampigliati, che espose per la prima volta nella celebre mostra “5 pittori. Roma 60” alla galleria La Salita. Questi lavori segnarono il superamento definitivo delle influenze informali e l’inizio di una fase di sperimentazione con la tecnica a smalto su carta intelata, destinata a diventare un tratto distintivo della sua produzione. I primi riconoscimenti ufficiali arrivarono nel 1961, con la partecipazione al Premio Lissone, che vinse, e al concorso della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Nel 1962 avvenne un incontro determinante per la sua carriera: quello con Ileana Sonnabend, importante gallerista europea. Grazie al contratto d’esclusiva offerto dalla Sonnabend, Schifano poté lasciare il lavoro al museo e dedicarsi completamente all’arte. Nello stesso anno partecipò alla mostra “The New Realists” alla Sidney Janis Gallery di New York, dove espose una delle sue celebri tele con il logo della Coca Cola. Fu così inserito nel contesto della pop art internazionale, accanto a figure come Andy Warhol e Roy Lichtenstein, sebbene il suo stile mantenesse sempre una forte matrice italiana.
Negli anni successivi, Schifano si distaccò progressivamente dai temi legati alla pubblicità e ai mass media per tornare a esplorare la tradizione pittorica italiana, dedicandosi a paesaggi e soggetti naturali. Le sue tecniche si evolsero, integrando nuovi materiali come la vernice spray e il plexiglass, e creando serie come “Futurismo rivisitato” e “Compagni compagni”. Questi cicli ottennero grande successo, consolidando la sua fama anche presso il grande pubblico.
Parallelamente, la vita personale di Schifano si fece sempre più complessa. A partire dagli anni Sessanta, l’artista iniziò a fare uso di sostanze stupefacenti, il che portò a numerosi problemi legali. Il suo primo arresto per detenzione di marijuana avvenne nel 1966, seguito da altri procedimenti penali negli anni successivi. Questi eventi, pur gettando ombre sulla sua figura, non offuscarono la sua creatività.
Negli anni Settanta, Schifano ampliò la sua ricerca artistica, sperimentando con la fotografia e il cinema. Questa fase culminò con la realizzazione di cortometraggi e la creazione di tele emulsionate, su cui riportava immagini televisive ritoccate con smalto industriale. La sua produzione di questo periodo fu segnata da una rapidità esecutiva che rifletteva la velocità della società contemporanea.
Gli anni Ottanta rappresentarono per Schifano un periodo di rinnovata affermazione. Le sue opere, ricche di colore e materia, vennero esposte in numerose mostre internazionali, e nel 1983 tenne una personale a New York. Negli ultimi anni della sua vita, Schifano continuò a sperimentare, integrando nelle sue opere le prime tecnologie digitali e collaborando con Telemarket, una piattaforma innovativa per la vendita d’arte. Fu inoltre attivo in ambito sociale, sostenendo cause umanitarie e ambientali.
Mario Schifano morì il 26 gennaio 1998 a Roma, lasciando un’eredità artistica straordinaria. Le sue opere, sospese tra modernità e tradizione, continuano a essere celebrate come esempio di un’arte capace di raccontare la complessità del mondo contemporaneo, rendendo Schifano uno degli artisti più influenti e amati del Novecento.
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ARCHIVIO MARIO SCHIFANO
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