Daniele Ranzoni
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Nato a Intra, sul lago Maggiore, il 3 dicembre 1843, da Francesco e Elisabetta Franzosini, in una famiglia umile di sei figli, ai quali rimase sempre profondamente legato. La sua precoce inclinazione artistica fu notata fin da giovane: alcuni signori di Intra lo mandarono a studiare disegno con il pittore Luigi Litta (1853-1856) e presto lo videro progredire al Regia Accademia di Brera di Milano, dove frequentò la classe di Giuseppe Sogni. Nei successivi anni, tra il 1859 e il 1860, Ranzoni affinò la propria formazione all’Accademia Albertina di Torino, essendo anche “pensionario” del collegio Caccia di Novara – luogo che conserva il ritratto della sorella Virginia – ma fu a Brera, sotto la guida di Giuseppe Bertini, che maturò il suo estro grafico e l’interesse per la sperimentazione cromatica.
Il percorso artistico di Ranzoni fu tuttavia segnato da fragilità personali: la lontananza dalla famiglia e le sue condizioni di salute (turbe ipocondriache e frequenti mal di testa) resero il giovane artista particolarmente sensibile e incline a stati d’umore altalenanti. Nel 1864 fece ritorno a Intra, dove si integrò nell’ambiente aristocratico che animava le “nobili dimore” del lago Maggiore. Insieme al pittore-fotografo Giacomo Imperatori, contribuì a formare il Circolo dell’armonia, impegnandosi in numerosi lavori che spaziavano dai ritratti di famiglia agli affreschi per chiese e alle insegne per osterie. La fotografia, con le sue inedite inquadrature, divenne per Ranzoni fonte di ispirazione per cogliere effetti di luce e trasmettere la “sensazione dell’invisibile”.
Dopo lo sgomento causato dall’alluvione dell’ottobre 1868, il pittore fece ritorno a Milano, dove entrò in contatto con personalità di spicco come Tranquillo Cremona, Giuseppe Grandi, Medardo Rosso, Emilio Longoni, Filippo Carcano e Mosè Bianchi. Immerso nella bohème scapigliata e circondato da intellettuali e scrittori – tra cui Cletto Arrighi, Giuseppe Rovani, Arrigo Boito, e Iginio Ugo Tarchetti – Ranzoni coltivò rapporti vivaci e stimolanti, anche se non dipese mai totalmente dalla personalità estroversa di Cremona, riuscendo a sviluppare in autonomia un proprio stile. I suoi esordi si orientarono verso la pittura sacra (come la Predica del Battista nelle chiese del Verbano) e soggetti letterari (Dante e Virgilio, Beatrice Cenci, Effetto di sole), oltre a tematiche risorgimentali (Roma o morte, Il garibaldino Filippo Erba). Presto, tuttavia, egli si affermò soprattutto come autore di ritratti d’eccellenza.
Presentato da Cremona alla famiglia Greppi, il talento di Ranzoni venne riconosciuto per l’intensità psicologica e la modernità della resa pittorica, tanto da far notare a critici e artisti – tra cui Vittore Grubicy – “l’impronta della più elevata distinzione”. La sua fama crebbe, portandolo a essere ospite fisso nelle case dell’alta borghesia e della nobiltà. Nel 1873 si trasferì nella villa di Ghiffa, costruita dal principe Pyotr sulle rive del lago, dove venne coinvolto nell’ambiente dei Troubetzkoy. Qui, tra incarichi di educazione artistica per i figli del principe, Ranzoni trovò anche l’ispirazione per ritrarre la principessa Ada – musa che ritrazzò in diverse versioni, dandole il ruolo di icona di bellezza, dolce e sensuale, capace di incarnare eleganza e carisma.
Il pittore si fece presto notare anche in ambito internazionale: negli anni 1877-79 trascorse un periodo in Inghilterra, dove si orientò alla società dei “ritratto-dipendenti”. Qui, tra commissioni per figure della gentry – come il capitano Mervyn B. Medlycott, Lady Caroline Surtees Paget e sir Richard Horner Paget – e ritratti di bambini e adolescenti, Ranzoni dimostrò la capacità di cogliere l’essenza psicologica e l’eleganza dei suoi soggetti. Le sue opere, caratterizzate da un colorismo acceso, contrasti drammatici e una luce delicata, trasmettevano anche un senso di inquietudine e mistero, espressione della sua costante ricerca della bellezza femminile e del desiderio di catturare l’essenza dei volti e dei corpi.
Le vicende personali, però, non furono prive di ombre: i sospetti riguardo alla sua relazione con la principessa – ritratta insieme a lui negli stendardi processionali della Collegiata di S. Vittore a Intra – le difficoltà economiche del principe Pyotr, le sfortune della famiglia Franzosini e il suicidio dell’industriale Eugene Francfort contribuirono a un progressivo affievolirsi della sua serenità. Deluso dall’esperienza inglese, in cui i suoi dipinti furono anche rifiutati dalla Royal Academy nel 1879, Ranzoni fece ritorno a Milano. L’anno 1880 segnò, tuttavia, una nuova stagione creativa: riprese a posare personalità dell’alta società – dalla baronessa Anna Francfort a illustri figure come la signora Rosnati contessa Arrivabene e le sorelle Vercesi – regalando ritratti intensi, permeati da un gioco sofisticato di luci ed ombre che esprimevano sentimenti contraddittori, tra piacere ed inquietudine.
La vita affettiva di Ranzoni fu altrettanto travagliata. Un amore folgorante per Flora Biraghi, che alcuni hanno interpretato come maschera per l’attrazione nei confronti della principessa Troubetzkoy, si intrecciò al dramma interiore che lo portò a sperimentare turbolenze psichiche tra il 1882 e il 1885. Nei suoi taccuini, come il secondo taccuino Pompili (redatto nel 1881), traspaiono frammenti di un’anima tormentata: “pezzi di buio” convivono con seduzioni allucinate, mentre il pittore cattura in opere come la Testina femminile (1884) e La Meditabonda lo sguardo intriso di malinconia e consapevolezza della mortalità.
Le crisi culminarono nel 1885, quando venne ricoverato – definito “maniaco e abulico” – presso l’ospedale psichiatrico di Novara. Una volta dimesso, Ranzoni realizzò due capolavori: il ritratto del bambino William Morisetti (Willy) e La Giovinetta in bianco malata, sebbene la malinconia rimanesse una costante nella sua esistenza. L’ultima stagione brillante si manifestò durante il soggiorno alle isole di Brissago, presso la nobile Antonietta Tzikos di Saint-Léger. Qui trasse ispirazione per ritratti intensi – dalla donna ritratta sulla sedia a sdraio, capace di evocare un’atmosfera proustiana, alla struggente Veduta di lago, simbolo di un paesaggio interiore – e per immagini che rievocavano anche figure inglesi e signore di Ghiffa, lasciando in alcune tele parte dell’opera in uno stato di incompiutezza, come in Giulia Tacchini La fanciulla col cappello di paglia.
Infine, dopo una breve sosta a Miazzina con il pittore Camillo Rapetti, Ranzoni si ritirò nella sua Intra natale, trascorrendo lunghe ore al Caffè Verbano e dedicandosi agli ultimi ritratti, in cui il colore si faceva più evanescente e l’espressione dei volti, a tratti straziata, parlava del suo continuo confronto con l’ombra e la solitudine. In solitudine, Daniele Ranzoni si spense a Intra il 29 ottobre 1889, pochi mesi prima della scomparsa della sua amata madre, chiudendo così una vita intensa, segnata da grandi successi artistici e da profondi tormenti interiori.