Alighiero Fabrizio Boetti

Alighiero Fabrizio Boetti, discendente di una nobile famiglia torinese, nacque il 16 dicembre 1940 a Torino. Crebbe in un ambiente familiare che univa rigore e creatività: il padre, Corrado, era avvocato, mentre la madre, Adelina Marchisio, violinista e in seguito ricamatrice, trasmise al figlio la sensibilità per l’arte. Dopo aver intrapreso gli studi di Economia e Commercio all’Università di Torino, li abbandonò per dedicarsi alla sua vera passione, l’arte.

Boetti iniziò il suo percorso artistico da autodidatta negli anni ’60, ispirandosi a maestri come Paul Klee e Nicolas De Staël. Intorno ai vent’anni, mosse i primi passi nella pittura ad olio, concentrandosi sui paesaggi. Il desiderio di affinare la tecnica lo portò a Parigi, dove studiò l’incisione. Durante un viaggio a Vallauris, destinato all’acquisto di ceramiche, incontrò Annemarie Sauzeau, che sposò nel 1964. Questo periodo parigino fu fondamentale sia per la sua crescita artistica che per la sua vita personale.

Il 1967 segnò una svolta nella sua carriera: debuttò con una mostra personale alla Galleria Christian Stein di Torino ed entrò nel movimento Arte Povera. Questa corrente rivoluzionaria mirava a superare le convenzioni dell’arte tradizionale, utilizzando materiali semplici e creando opere concettuali. Boetti partecipò a numerose esposizioni a Torino, Genova e Milano, guadagnandosi un ruolo di primo piano nella scena artistica italiana.

Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, la sua fama si estese all’estero, rendendolo una figura centrale nel panorama artistico internazionale. La sua arte si distingue per la profondità concettuale e i riferimenti filosofici e culturali, riflessi in opere che esplorano temi come il tempo, il caso e la dualità.

Grande appassionato di viaggi, nel 1971 Boetti visitò per la prima volta l’Afghanistan, un incontro che trasformò radicalmente la sua vita e il suo lavoro. Attratto dalla cultura millenaria e dai paesaggi mozzafiato, fece dell’Afghanistan una seconda casa, soggiornandovi regolarmente fino al 1979, quando l’invasione sovietica lo costrinse a interrompere i suoi viaggi. Qui fondò un laboratorio tessile a Kabul, coinvolgendo ricamatrici locali nella creazione di opere collettive che univano tradizione artigianale e arte concettuale. Il laboratorio divenne un simbolo del dialogo tra culture e della sua visione collaborativa dell’arte.

Non limitandosi al laboratorio, Boetti acquistò un albergo nel quartiere residenziale di Sharanaw, il “One Hotel”. Questo spazio, oltre a fungere da base per i suoi soggiorni, divenne un punto di incontro per artisti, intellettuali e viaggiatori affascinati dalla sua visione creativa.

Nel 1972 si trasferì a Roma, inaugurando una nuova fase della sua carriera. In questo periodo adottò la firma “Alighiero e Boetti”, un gesto simbolico per rappresentare la dualità tra dimensione privata e pubblica. Questo tema, centrale nella sua produzione artistica, rifletteva una riflessione profonda sull’identità e sul ruolo dell’artista.

Negli anni successivi, Boetti consolidò il suo successo internazionale. Partecipò alla Biennale di Venezia, espose negli Stati Uniti e stabilì un legame duraturo con New York, dove tenne mostre alla Galleria Weber. Nel 1978 una grande retrospettiva alla Kunsthalle di Basilea celebrò la sua carriera, confermandolo come uno degli artisti più influenti del suo tempo. Nel 1980 realizzò un progetto per “Il Manifesto”, creando un disegno al giorno per cinque mesi, dimostrando ancora una volta la sua inesauribile creatività.

Negli anni Ottanta, nonostante difficoltà personali e di salute, continuò a partecipare a importanti esposizioni, come “Identité italienne” al Centro Pompidou di Parigi e “Documenta” di Kassel. Tornò a Torino con la personale “Ammazzare il Tempo”, curata da Franz Paludetto, che esplorava il rapporto tra arte e temporalità. Tuttavia, un incidente d’auto e la separazione dalla moglie Annemarie influirono profondamente sulla sua vita privata.

Tra il 1985 e il 1986, aprì un nuovo studio vicino al Pantheon a Roma, dove continuò a lavorare fino al 1993, anno in cui gli fu diagnosticato un tumore. Nonostante il peggioramento della salute, la sua produzione artistica non si arrestò. Boetti morì il 24 aprile 1994 nella sua casa di Roma. Dopo la sua morte, la sua eredità fu celebrata con numerose mostre postume, soprattutto negli Stati Uniti, consacrandolo come una figura cardine dell’arte contemporanea.

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